Violenza di genere

Baldo, il bambino vittima di bullismo

I miei genitori mi hanno chiamato Baldo. Che nome è Baldo, me lo sono chiesto per 13 anni.

Odio il mio nome, mi ha sempre creato problemi, fin dalle elementari.

Per non essere più preso in giro mi ero inventato che il mio secondo nome era Michele, come l’angelo che combatte le ingiustizie e lo so perché a catechismo me lo hanno spiegato.

In prima media ero Michele.

Quando la prof , il primo giorno di scuola, ha fatto l’appello chiamandomi Baldo, si sono girati tutti: Baldo come Bracco Baldo? ti chiami Baldo o Michele, cretino!

Ho abbassato gli occhi e ho imparato a farlo molto bene con il tempo.

Comunque ho scoperto che Baldo significa gagliardo, coraggioso, cosa vuoi che ne sappiano loro!

Sono sempre stato un bambino particolare, porto gli occhiali, non vesto fashion, mi piace leggere e studiare, non frequento nessuno perché nessuno vuole stare con uno strano come me.

Sono noioso e brutto, lo riconosco.

Lo so perché ho 4 occhi per vedere: i miei compagni di classe sono gagliardi, ci sanno fare con le ragazze, sono sbruffoni persino con gli insegnanti e vengono a scuola accompagnati dai genitori con il loro Suv nero pece, io prendo l’autobus.

Mica sono l’unico passeggero, no certo, ma a me pare di essere sempre solo in quel bus che mi porta a scuola e mi riporta a casa ogni giorno per 6 giorni alla settimana.

La prima volta che è successo, non posso dimenticarla.

Era un mercoledì, lo ricordo perché è il giorno in cui avevamo 2 ore di palestra e io non sono portato per lo sport, era il giorno più faticoso da passare della settimana.

Nello spogliatoio, mentre mi stavo cambiando, alcuni compagni mi hanno chiamato Baldo il puzzone e io ho di nuovo abbassato gli occhi e sono stato zitto.

Io non puzzo, io mi lavo ogni giorno.

Appena sono entrato in palestra mi hanno colpito con la palla da basket, sono caduto a terra e hanno riso.

Mi sono rialzato, sono andato a lato del campo e il professore mi ha esonerato dalla partita, ha visto tutto, ma non ha detto nulla.

Ho capito quel giorno che non avrei avuto una vita facile a scuola.

Dalla prima alla terza media sono stato il più bel passatempo dei miei compagni di classe e l’incubo di me stesso. Ogni mattina alle sei, quando la sveglia mi ricordava che avrei dovuto passare un altro giorno da schifo.

Se all’inizio abbassavo lo sguardo solo quando in classe mi arrivavano palline in testa fatte di carta o pezzi di biro che rompevano appositamente per avere più munizioni, dopo 4 mesi camminavo sempre a testa bassa, ingobbendomi sempre più.  

Avevo paura di incrociarli sulla mia strada, avevo paura di incrociarli a scuola e avevo paura di trovarmeli dietro la porta di camera mia.

Più io abbassavo la testa più loro si divertivano.

Quando li vedevo da lontano pensavo: “Ecco ci siamo, tra qualche metro mi sentirò un verme, eccoli arrivano”.

Mi guardavo per un secondo attorno, speravo ci fosse qualcuno che vedesse per me, che alzasse la voce per me, che desse loro una lezione per me, perché io da solo non ce la facevo.

Se mi andava bene sputavano a terra e uno di loro, Giorgio il boss, mi chiamava gay di merda, rotto in culo, mi minacciava dicendomi che un giorno me lo avrebbe rotto lui con un palo, ammazzati, sfigato di merda. Quando mi andava bene.

Io aumentavo il passo e dopo 2 minuti mi sentivo di nuovo bene, era passata.

Sai, quando questo ti succede ogni giorno per 3 anni ti convinci che sei veramente uno sfigato di merda, che nella vita non farai nulla di buono e che nessuno ti vorrà mai bene.

In casa non potevo parlare di queste cose perché avevo paura che potessero dar ragione ai miei compagni, visto che mia mamma mi faceva notare quanto fossi strano.

Possibile che non hai amici per uscire, mi rimproverava, possibile che sei sempre chiuso in camera e che non hai voglia di andare fuori, possibile che non sei normale come tutti i tuoi coetanei.

Se ero sbagliato persino per mia mamma lo dovevo essere per forza per loro.

Mio padre non si è mai preoccupato, quando mia mamma diceva che avevano fatto un figlio strano, lui sminuiva dicendo che era l’età, che mi sarebbe passato, che i ragazzi passano periodi bui e che non dovevano preoccuparsi.

Io avrei voluto che si preoccupassero.

Sai, ero proprio bravo a scuola, adoravo le materie letterarie, ma me la cavavo anche con le scientifiche.

Sì ero uno strano topo da biblioteca, un secchione e mi sentivo in colpa, mi sembrava di fare un torto agli altri e davo ragione a questo del fatto che fossi preso di mira.

In classe c’era Giorgia che sembrava una strana come me, spesso per gli affari suoi.

Una tipa con carattere.

Io la ammiravo perché lei non si faceva mettere i piedi in testa dalle compagne che la evitavano come avesse una malattia rara. Sembrava un misto tra una figlia dei fiori e una rap, aveva i rasta e vestiva sempre con indumenti larghissimi, mi piaceva.

Credo di averle parlato due volte, solo per argomenti che riguardavano la scuola, ogni tanto mi sorrideva e io al posto di ricambiare abbassavo gli occhi.

Una mattina le ho chiesto se avesse voglia di aiutarmi con una ricerca di storia.

Ha detto sì ed è stato il più bel giorno della mia vita.

L’appuntamento era per le 16.00 di sabato, mancavano solo 4 giorni e per la prima volta in terza media avrei fatto venire a casa mia una persona della mia classe.

Ero emozionato, quello che per gli altri era normalissimo per me era un evento epocale, una magia di Potter, un rito andato bene.

L’avrebbe finita mamma di dirmi che ero strano, si sarebbe ricreduta e almeno in casa avrei raggiunto la pace.

Quel venerdì mattina andai a scuola senza guardare basso, senza guardarmi i piedi. Avevo la testa dritta sul collo e forse di tanto in tanto ho pure accennato un sorriso nel mentre del mio percorso fino a scuola.

Girato l’angolo di via Traverso con via Garibaldi mi sono bloccato.

Schierati come un plotone di esecuzione c’erano Giorgio nel mezzo, alla sua destra Maurizio e Carlo alla sua sinistra Luca e Patrizio.

Li ho ignorati cercando di passare sulla sinistra, tra ai meno cattivi del gruppo.

Si sono chiusi a riccio e Giorgio ha iniziato.

Uno di loro filmava tutto e con l’incitazione dei ragazzi lui calciava come fosse stato un mulo impazzito.

Ad un certo punto ricordo solo che non sentivo più niente, pensavo solo che sarebbe finita presto.

L’ultimo ricordo che ho è stata la voce di Giorgio che gridava: “Posta, posta, muoviti che lo facciamo diventare virale”.

Mi sono alzato con un dolore infinito nelle ossa, nei muscoli, nel cuore.

Sono tornato a casa, mamma e papà erano al lavoro.

Ho preso una corda e l’ho legata alle travi di legno della taverna. Ho preso uno sgabello e sono salito.

Ci ho pensato di scrivere qualcosa, ai miei genitori, a Giorgia che, guarda il caso, solo in quel momento ho pensato che avesse lo stesso nome al maschile del mio carnefice.

Ma non l’ho fatto,.

Ci ho messo un secondo a togliermi lo sgabello da sotto i piedi e qualche minuto per andarmene.

Anche per finirla ho sofferto, non mi sono pentito un secondo, sarebbe finita presto come quando ero sotto i calci di Giorgio.

Che strano, sono tutti qui.

La chiesa è piena di gente e ci sono anche loro.

Piangono tutti, lui no.

Gli angeli però vedono l’anima e io riesco a vedere quella di Giorgio, è lacerata dal dolore.

Non è una soddisfazione, temo che il male gli uscirà presto, perché sento le chiacchiere dei compagni di gioco che ne parlano, dicono che è tutta colpa sua, che io mi sono ucciso per lui.

Qualcuno dovrebbe ricordare a loro che c’erano, che ridevano, che filmavano e che lo incitavano.

Parleranno di me per sempre, sono diventato visibile tutt’un tratto.

Sento i grandi che dicono di essersi accorti che ero sempre solo, indagheranno, cercheranno il perché del mio gesto.

E pensare che potevo risolvere il caso in velocità, bastava avessi scritto due righe, che stupido, anche da suicida non sono stato un granché.

Mamma è disperata, si sta dando tutte le colpe e papà piange senza respiro. Mi dispiace per loro, non volevo diventare un problema anche da morto.

Sono un diverso, lo sono stato, ma poi perché diverso?

Io ero solo un ragazzo di 13 anni che amava leggere, con gli occhiali e si forse un po’ bruttino, ma con un cuore enorme, possibile che nessuno lo abbia mai visto?

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Questa è una storia inventata, i nomi dei personaggi e delle vie sono presi a caso, ma la vicenda potrebbe essere fatto reale, quella di un bambino invisibile che ad un tratto diventa visibile.

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