curiosità

Dante, le donne e l’amore

” I fui nato e cresciuto sovra ‘l bel fiume d’Arno a la gran villa”. Dante scrisse queste righe per ricordare le sue origini, il quartiere dove nacque. A noi però oggi interessa sapere di Dante, le donne e l’amore. Possiamo dire che fu un biricchino?

A Dante accoppiamo Beatrice. Da sempre sui libri di scuola non si è parlato che di questo amore doloroso e impossibile. ( vero? aggiungo)

Chi erano Gemma e Beatrice ?

Gemma, la moglie di Dante, fu costretta a sposarsi con un uomo che non la filerà di striscio, per tutta la vita.

Gemma e Dante dovrebbero essere stati coetanei, qualcuno afferma che Gemma fosse di qualche anno più giovane. Lei era della famiglia dei Donati, vicini di casa di Dante, in quel sestiere ( come usavano chiamarsi i quartieri al tempo ) chiamato San Pier Maggiore.

Il 9 febbraio 1277, con un atto notarile, l’appena dodicenne Dante fu promesso in sposo a Gemma Donati con una dote che ammontava a 200 fiorini. Pochetto se ricordiamo il tenore di vita dei Donati. D’altronde le doti venivano calcolate in proporzione al patrimonio del futuro sposo e sappiamo che gli Alighieri erano solo dei commercianti. Una condizione “media” per il tempo.

Nel 1283 giunsero all’altare. La coppia ebbe tre figli: Jacopo, Pietro e Antonia. Il quarto, Giovanni, resta ancor oggi, un mistero.

Fu un matrimonio felice? Secondo la testimonianza del Boccaccio, il matrimonio tra Gemma e Dante fu un inferno.

Beatrice sembra quindi l’amante perfetta, quella che si intromette in un’unione poco felice.

La domanda è: “Beatrice fu davvero l’amante di Dante?

Beatrice fu veramente esistita. Figlia di Folco Portinari, esponente dell’alta società cittadina, abitò nello stesso quartiere di Dante.

Abitando nello stesso quartiere si presume si conoscessero. Ma, si rivolsero mai la parola?

C’è chi sostiene che non si sarebbero, mai, neppure salutati. Dante fece una vita da fuggitivo. E poi non dimentichiamo che appartenevano a due classi sociali diverse. Inoltre la signora Beatrice era una donna sposata quindi…

Il dubbio è se il Sommo idealizzò quell’amore per sopperire alle pene del suo matrimonio disastroso, oppure lei fu solo la rappresentazione della bellezza dell’amor divino?

Dante che cosa pensa delle donne?

Sicuramente Dante aderì alla poetica del Dolce Stil Novo, che sembra voler dare alla donna un compito preciso: quello dell’elevazione del sentimento e quindi della perfezione. In sostanza all’Amore non ha senso resistere. Ogni uomo lo cova dentro di lui e la donna ha solo il compito di manifestarlo.


..E io più lieve che per l’altre foci
m’andava, sì che sanz’alcun labore
seguiva in sù li spiriti veloci;
quando Virgilio incominciò: “Amore,
acceso di virtù, sempre altro accese,
pur che la fiamma sua paresse fore
“.

Pg XXII, 10-12
E io più leggero di altre volte
camminavo, cosicché senza nessuna fatica
potevo seguire verso l’alto gli spiriti veloci;
quando Virgilio incominciò: “Amore,
acceso di virtù, sempre altro accese,
pur che la fiamma sua si manifestasse”.

È per tale motivo che la figura della Donna-Angelo è realmente l’intelligenza mediatrice tra il poeta e Dio. 

Tale nobilitazione dell’animo è chiamata “gentilezza”, ovvero la perfezione dell’essere.

Ma Dante, anche grazie alla riflessione filosofica acquisita dalla Summa Theologiae di S. Tommaso, comprende che non sempre e comunque il sentimento amoroso ingenera un’elevazione dell’animo.

Lui pensa che se il sentimento dell’amore stravolge la razionalità non è cosa positiva. Quando si trasforma in «appetito di fera» (è l’espressione che usa Dante nella canzone XLIX, Doglia mi reca ne lo core ardire delle Rime), è un sentimento che inchioda l’uomo alla sua animalità e quindi lo allontana ovviamente da Dio.

Per questo Francesca è all’Inferno ed è consapevole della giustizia di Dio nel porla in quel luogo per l’eternità.

Sotto questo aspetto il quinto canto dell’Inferno è emblematico:

 
 
129 
 
 
132 
 
 
135 
 
 
138 
      Noi leggiavamo un giorno per diletto 
di Lancialotto come amor lo strinse; 
soli eravamo e sanza alcun sospetto. 
       Per più fiate li occhi ci sospinse 
quella lettura, e scolorocci il viso; 
ma solo un punto fu quel che ci vinse
       Quando leggemmo il disiato riso 
esser basciato da cotanto amante, 
questi, che mai da me non fia diviso, 
      la bocca mi basciò tutto tremante. 
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: 
quel giorno più non vi leggemmo avante».

Il «ci vinse» rappresenta l’abdicare della ragione rispetto all’«appetito di fera» e quindi segna l’impossibilità di amare Dio da parte dei due amanti. Tale concetto è, del resto, esplicitato all’inizio dello stesso canto, quando Dante spiega l’applicazione della legge del contrappasso, che per i lussuriosi si concreta nella bufera infernale (If V, 31-39):

  37      Intesi che a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali
che la ragion sommettono al talento

Lì dove «talento» è sinonimo di piacere e desiderio, capace di sottomettere la ragione e quindi trasformare l’uomo in animale.

L’amore nella Divina Commedia è ovunque.

Lo troviamo in svariate forme: passionale e familiare, terreno e divino, disperato e soave. 

Tante sono le presenze femminili nella Commedia. Dante, le donne e l’amore le troviamo quasi tutte nel quinto canto dell’Inferno, ma andiamo per ordine.

Dall’amore lussurioso delle figure confinate all’Inferno si passa alla dolcezza di Pia de’ Tolomei nel purgatorio per approdare infine in paradiso all’amore divino di Piccarda Donati e soprattutto di Beatrice, che Dante ha visto da bambino eleggendola a proprio angelo personale.

Nell’Inferno, Dante, usa la parola amore diciotto volte, una volta il verbo amare, due volte parole derivate come amoroso od amato. Non utilizza mai, egli che era uno spirito amante per eccellenza, né nell’Inferno, né nella Commedia tutta, il verbo amare alla prima persona. Inutilmente cercherete nella Commedia parole come amo, amavo, amai, riferite a Dante come soggetto.

Dante, le donne e l’amore carnale

L’amore come passione carnale è tutto nel Canto Quinto, quello di Paolo e Francesca.

Per ben otto volte appare qui la parola amore, una volta  ciascuna amareamorosaamato.

La colpa che Dante riconosce al peccato carnale non è l’Amore, che sempre e comunque viene da Dio (dal Demonio viene l’Invidia, l’Odio, mai l’Amore), ma il cattivo uso di questo, quasi la violazione della sacralità di questo sentimento, ovvero di questa determinazione sostanziale di Dio.

Dante riconosce in questo Canto il suo peccato, se non il più grave, il più frequente. Dapprima si sofferma sulle storie degli eroi e dei cavalieri, tanto amate nel medioevo e da lui stesso, e ne resta tanto turbato: pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

Poi fa ammenda della sua stessa poesia: nella rievocazione del famoso al cor gentil ripara sempre amore del Guinizzelli, Dante riconosce il dolce stil novo, del quale egli fu provetto interprete, e che ora riconosce origine di tanto male: quand’io intesi qell’anime offense, chinai il viso, e tanto il tenni basso.

Malgrado tutto, però, Dante riconosce nell’Amore l’origine divina, e la evidenzia in questi due fatti: peccator carnali stanno nel primo girone, quello del peccato meno grave, superato per gravità dalla stessa golosità, posta subito sotto.

In tutto l’Inferno il peccato per il quale si è condannati è fonte di maggior dolore, se non di pentimento: i dannati maledicono il loro peccato e soffrono per esso.

Mai, nell’Inferno, il peccato può essere fonte di consolazione, se non nel caso dell’Amore, che, provenendo direttamente da Dio, anzi, essendo Dio stesso, lenisce un poco il dolore della pena.

Il fatto che i due amanti rimangano insieme, travolti dal turbine della tempesta infernale, non appare come maggior punizione, ma come una concessione benevola al sentimento che in vita li ha uniti.

Canto 5, versi 61-69

L’altra è colei che s'ancise  amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo; poi è Cleopatràs lussuriosa. Elena vedi, per cui tanto reo tempo si volse, e vedi ‘l grande Achille, che con amore al fine combatteo. Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille ombre mostrommi e nominommi a dito,ch'amor di nostra dipartille.

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